La Giara di Platone. Una riflessione sull’umano illimite patologico.

La Giara di Platone. Una riflessione sull’illimite patologico dell’uomo, secondo il filosofo Diego Fusaro.

Il filosofo Diego Fusaro disquisisce sul concetto dell’illimite umano odierno, degli “homines consumentes”, partendo dall’episodio della Giara di Platone, portandoci alla riflessione sui giorni attuali, attraversati da un costante e perpetuo desiderio di desiderio.

Il filoso Platone - La giara e l'illimite umano.

Il filoso Platone – La giara e l’illimite umano.

Ecco cosa ci racconta: “Nel gorgia di Platone viene evocata, nel corso del dialogo con il sofista di Lentini, la figura dell’Uomo Folle che cerca in maniera scriteriata di colmare una giara il cui fondo è forato. L’uomo, pazzo, tenta in maniera del tutto inconsulta di riempire d’olio una giara il cui fondo, essendo forato, non permette all’olio stesso di depositarsi, sicché il suo è un gesto del tutto insensato perché non potrà mai portare all’obiettivo desiderato ossia al riempimento della giara.

Mediante questa immagine, Platone, nel gorgia, mira ad adombrare il carattere falso, la falsa promessa dell’illimitatezza come cifra di quel pleonektein, come Platone lo chiama nei suoi dialoghi, ossia il voler avere di più, il mirare alla ricchezza smisurata che gli uomini inseguono come se fosse foriero di felicità e di benessere, quando in realtà porta con sé semplicemente l’insoddisfazione del cattivo infinito, per dirla alla maniera italiana, ossia la scontentezza di chi non riesce mai a riempire la propria giara interiore, perché affaccendato nella rincorsa illimitata, perché illimitabile, di nuove ricerche, di beni, di piaceri. In sostanza l’uomo folle evocato dal gorgia platonico corrisponde pienamente all’individuo in balia del cattivo infinito. L’individuo che, anziché sapersi finito mortale e quindi anziché accontentarsi del finito, cerca illimitatamente la pienezza d’essere di un infinito che in realtà è lungi dal produrre la pienezza di essere.

Semplicemente genera scompensi, insoddisfazione e una esistenza cinetica caratterizzata dalla perenne mancanza di stabilità. Potremmo dire che Platone anticipa qua mirabilmente la critica che, dopo di lui, Epicuro muoverà alla edonè kinetikè cioè al piacere in movimento, dinamico, che, contrariamente alla edonè katastematikè, quella stabile, che sta e che porta a un reale piacere di soddisfazione, genera invece una cattiva rincorsa dell’infinito, che non porta mai alla determinatezza, ma che, sempre, di nuovo, si rinnova perpetuamente. Questa in effetti la cifra della illimitatezza propria di chi non sappia riconoscere la finitudine che egli anzitutto è strutturalmente.

Gli uomini sono finiti, sono i protoi, i mortali, come li chiama la lingua greca, e debbono dunque conoscere se stessi anzitutto come finiti sfuggendo alle perigliose insidie del cattivo infinito, che non per caso, la cultura greca connota univocamente come pena inflitta dai divini ai mortali, da Tantalo a Sisifo, da Prometeo a Tizio.

In sostanza l’etica greca qui evocata e sistematizzata nel gorgia da Platone è un’etica del limite della giusta misura. Metron ariston: la misura è la cosa migliore. Laddove invece il perpetuum mobile del desiderio illimitato, illimitabile, genera ansia diremmo oggi, genera instabilità del proprio essere. Permette in realtà di non giungere mai a una piena soddisfazione, rinvia continuamente quella plenitudo essendi che pure promette di realizzare. Da questo punto di vista l’imperativo socratico, gnosis auton, conosci te stesso, l’imperativo delfico è essenzialmente un invito a conoscere la propria finitudine e dunque a mettersi al riparo rispetto alle sirene suadenti dell’illimite, dell’apeiron. Seguendo l’apeiron l’uomo perde se stesso anzitutto, cessa di conoscersi e di rispettare la finitudine che egli quintessenzialmente è.

Da questo punto di vista, occorre riprendere la cultura greca, qui magnificamente espressa e  compendiata da Platone con il l’immagine della giara forata, per evitare quel desiderio di desiderio che è la cifra poi della civiltà nichilistica dei consumi che tutti ci fa essere nella condizione del folle che cerca di riempire la giara forata, in vista di un benessere, che mai potrà raggiungere, essendo il suo un obiettivo del tutto insensato quale è quello degli homines consumentes contemporanei che rincorrono in maniera funesta il ciclo del consumo e della pubblicità e che vivono ogni conquista come una semplice tappa transeunte in vista di nuove conquiste. La loro anima non si acquieta mai, la loro plenitudo essendi non è mai raggiunta, perché ogni bene acquistato e consumato funge semplicemente come trampolino di lancio verso nuovi beni che appaiono fantasma, in fantasmagorica mente, nella sfera della circolazione, diventano anch’essi tappe transeunti di un cattivo infinito che non giungerà mai alla determinazione concreta”.

Video Originale

Qui di seguito il video originale.

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